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Agostino Di Bartolomei: Il capitano silenzioso (con video)

a cura di Emanuele Grilli
Redazione de Il Legionario
inserita 4 anni fa
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Charles Darwin ha cercato tutta la vita l’ultimo anello, quello che spiega tutto, e non l’ha mai trovato. La Roma c’è riuscita, senza neppure cercarlo. Se lo è trovato magicamente in casa, e si chiamava Agostino Di Bartolomei”.
Piero Torri

Parlare della carriera e in generale della vita di un giocatore così non è mai troppo facile. Possiamo stare qui un'ora a parlare di lui eppure potrà sempre esserci un dettaglio che potrà sfuggire, ma nonostante ciò cercherò di fare del mio meglio.
Oggi sono 65 anni esatti dalla nascita di uno dei capitani più indimenticabili nella storia della Roma, un giocatore rimasto in maniera indelebile nei nostri cuori, per tutto quello che ha rappresentato sul campo e fuori: un vero e proprio leader.
Si potrebbe iniziare a parlare delle sue caratteristiche tecniche, ma prima è doveroso fare un appunto sul suo aspetto caratteriale, che probabilmente più di tutto lo differenziava dal prototipo del giocatore moderno. Nonostante il carisma in mezzo al campo Agostino non amava i riflettori, tutt’altro. Era una persona molto schiva e riservata, che per questo motivo non fece mai parlare troppo di se per questioni extra-calcistiche, se non in quel tremendo 30 maggio 1994. Ma arriviamoci con calma.
Sul campo Di Bartolomei era un giocatore fantastico, tecnicamente e tatticamente completo. Dotato di gran carisma, continuità di rendimento e intelligenza tattica, il suo ruolo era di libero davanti la difesa, con il compito di anticipare le manovre avversarie e far ripartire l’azione con lanci millimetrici. Nonostante uno velocità non eccelsa, Agostino riusciva a sopperire capendo subito i movimenti del proprio avversario, anticipandolo con facilità grazie a un ottimo senso della posizione. Questo gli permise nel corso della sua carriera di giocare sia come centrocampista che come difensore centrale, con risultati sempre soddisfacenti.
Oltre al supporto alla fase difensiva, Di Bartolomei era dotato anche di un eccezionale tiro, potente e preciso, che gli permise di trovare il gol con molti tiri dalla distanza e anche su punizione. Questo divenne ben presto il suo vero marchio di fabbrica, con i tifosi che quando c’era una punizione pericolosa già intonavano cori a suo favore. Ma facciamo un altro passo indietro, precisamente all’8 aprile 1955.
Di Bartolomei nasce a Roma nel quartiere di Tor Marancia, iniziando fin da piccolo a dare calci al pallone nelle classiche partitelle tra amici nell’oratorio vicino casa. In poco tempo Agostino inizia a giocare dall’OMI, una delle tante squadre satellite della Roma, e nel 1968 alcuni osservatori del Milan lo notano e gli propongono di partire e andare a Milano. Agostino però, appena tredicenne, rifiuta l’offerta, sia perché non vuole trasferirsi così giovane e sia perché il suo sogno in realtà è un altro: vestire la maglia giallorossa. Un aneddoto che si ripeterà molti anni più tardi con un altro giocatore romano vicino al Milan, e diventato successivamente una bandiera della squadra giallorossa. Un certo Francesco Totti.
Il sogno di vestire i colori giallorossi si avvera solamente qualche anno più tardi, quando viene inserito nella primavera della Roma vincendo subito due titoli nazionali di fila. Qui i dirigenti giallorossi vedono fin da subito che il giocatore ha qualcosa in più degli altri, nonostante la giovane età, e nella stagione 1972/73 con Antonio Trebiciani in panchina esordisce ufficialmente in Serie A nella trasferta a San Siro contro l’Inter pareggiata per 0-0. La stagione dopo, alla prima giornata di campionato, il neo allenatore Manilo Scopigno decide di dargli fiducia, e lo schiera da titolare con la maglia numero 10. Agostino di tutta risposta, segna il gol decisivo che permette alla Roma di vincere 2-1 l’esordio in campionato. Quella stagione non sarà particolarmente felice, con Scopigno che viene subito esonerato e Nils Liedholm che lo convoca raramente facendogli trovare il campo solamente altre 7 volte. Come se non bastasse durante il ritiro per preparare la stagione successiva un brutto infortunio al menisco lo tiene fuori per diversi mesi, e dopo sole 13 presenze stagionali si capisce che è arrivato il momento di farsi le ossa.

Agostino viene quindi ceduto in prestito al Vicenza in serie B, e qui non solo troverà finalmente la continuità, ma si affermerà come uno dei centrocampisti più forti e completi di tutto il campionato 1975/76. Dopo 37 presenze e 5 gol, è giunto il momento di tornare a casa.

L’esperienza in serie B è proprio quello che ci voleva, poiché Agostino torna a Roma più carico e motivato che mai. E dalla stagione 1976/77, per ben 8 anni, diventerà il perno assoluto del centrocampo giallorosso, e qualche anno più tardi il capitano a tutti gli effetti.
Nel suo ritorno a Roma infatti Agostino si dimostra sempre di più un leader, capace di giocare su tutto il fronte di centrocampo e di trovare il gol per ben 10 volte, nella stagione 1977/78 che rimarrà per tutta la sua carriera la più prolifica a livello realizzato.
In casa giallorossa intanto cambiano molte cose, dagli allenatori, ai giocatori fino alla presidenza, che passa da Gaetano Anzalone all’imprenditore Dino Viola. Il livello della squadra cresce, arrivano Bruno Conti, Ancelotti e tanti altri, ma uno dei pochi punti fermi della squadra è proprio il capitano Di Bartolomei. Silenzioso quando c’era da giocare la palla, urlava solo quando c’era da spronare un compagno o esultare dopo un gol segnato. E nella stagione 1979/80 arriva il primo trofeo conquistato, con la vittoria della Coppa Italia ai danni del Torino. Una vittoria che verrà replicata la stagione dopo sempre contro i granata, con la differenza che stavolta la coppa la alza proprio Di Bartolomei, divenuto capitano a tutti gli effetti.
La stagione 1981/82 è un'occasione importante per mettersi in mostra, visto che a fine anno si disputeranno i mondiali in Spagna e tutti vorranno far parte dei convocati. Nonostante la grande esperienza in campo mostrata negli anni precedenti Bearzot decide di non convocarlo, portandosi dietro solamente Bruno Conti che tra l’altro sarà nominato come il miglior giocatore di tutta la competizione. Un episodio che però testimonia come tra Agostino e la Nazionale non ci sia mai stato moltissimo feeling, visto che in tutta la sua carriera giocherà solamente 8 partite con la nazionale Under 21 non venendo MAI convocato con la prima squadra. Qualcosa di allucinante se pensiamo a tanti altri giocatori che di lì in avanti riusciranno a indossare questa maglia anche in più occasioni.
Molti si sarebbero demoralizzati dopo questa mancata convocazione, ma non lui. Agostino al contrario voleva dimostrare a tutti che anche lui avrebbe potuto dare una mano, e nel 1982 subisce una variazione di ruolo che risulterà decisiva ai fini del campionato. Nils Liedholm infatti, analizzati i pregi (ma anche i difetti), decide di arretrarlo come libero davanti la difesa, e affiancandogli uno dei difensori più forti e veloci di quegli anni: l’esperto Pietro Vierchowod.
Questa mossa si rivelerà a dir poco azzeccata, poiché i due giocatori riusciranno fin da subito a completarsi a vicenda, grazie al senso della posizione di uno e la precisione nel controllo palla dell’altro. E se a questo aggiungiamo una rosa fortissima con Tancredi in porta, Nela e Maldera in difesa, Falcao e Ancelotti a centrocampo, e Bruno Conti e Pruzzo davanti, si capisce come potrebbe concludersi la stagione 1982/83. Dopo 41 anni infatti, la Roma di Di Bartolomei si laurea campione d’Italia in casa del Genoa, col capitano che grazie a uno strepitoso assist porterà al gol decisivo del bomber Roberto Pruzzo. È un trionfo a tutti gli effetti, il sogno di un ragazzo che qualche anno prima giocava a calcetto sotto casa e si ritrova ad alzare un trofeo che da quelle parti mancava da prima della seconda guerra mondiale. Un qualcosa di incredibile.



La stagione successiva, con l’arrivo di Toninho Cerezo, si vuole puntare a qualcosa di più. La tanto agognata Coppa dei Campioni, che casualmente quell’anno avrebbe disputato la finale proprio allo Stadio Olimpico. Un'occasione da non perdere.
E infatti la Roma, archiviato il campionato con un ottimo secondo posto, compie una vera e propria cavalcata trionfale, arrivando in semifinale contro il Dundee United. Qui dopo una cocente sconfitta per 2-0 in Scozia, la Roma riesce a rimontare imponendosi per 3-0 in un Olimpico stracolmo. E chi segnò su rigore il gol del 3-0? Esatto, proprio lui, il capitano Di Bartolomei.
La finale si gioca il 30 maggio 1984, e i più attenti di voi si ricorderanno che non è la prima volta che nomino questa data nel video. Una serata speciale, in pieno stile giallorosso: emozione, sofferenza, tifo e soprattutto delusione. Dopo una gara sofferta pareggiata per 1-1, ai rigori sbagliano Bruno Conti e Graziani, e il Liverpool vince la sua quinta coppa dei campioni nella propria storia. Qualcuno dice che a fine partita Di Bartolomei abbia appeso al muro Falcao per non aver avuto il coraggio di battere uno dei rigori, ma in ogni caso la verità è una sola. Bisogna vendicarsi di questa brutta sconfitta. Ed infatti, nella finale di coppa Italia contro il Verona, la Roma riesce ad imporsi 1-0 in casa e ad alzare un trofeo importante, seppur di consolazione se pensiamo a quello che potevamo vincere qualche giorno prima.
Questa sarà a tutti gli effetti l’ultima partita in giallorosso disputata da Agostino, in un'esperienza fatta di 311 presenze e 69 gol. Il neo allenatore Eriksson infatti non lo vede adatto al suo stile di gioco, e Di Bartolomei decide di seguire Liedholm nell’estate del 1984, il tutto non senza rancore.
Nella prima sfida da avversario infatti, vinta dal Milan a San Siro per 2-1, Agostino segna il gol che sblocca la gara, con un'esultanza scomposta che nessun tifoso giallorosso si sarebbe mai e poi mai aspettato. Un gesto che si porterà strascichi anche nella partita di ritorno, con i tifosi che lo bersaglieranno di fischi e Graziani che dopo un fallo su Bruno Conti lo aggredisce dando il via a una brutta rissa in mezzo al campo. Con il Milan Agostino resterà per 3 stagioni non vincendo trofei ma confermandosi come un perno importante del centrocampo rossonero, fino a che Arrigo Sacchi decide che non è più importante per il club e viene ceduto definitivamente al Cesena. Dopo una salvezza ottenuta sempre con la fascia di capitano, Agostino decide di concludere la sua carriera alla Salernitana, concludendo la sua carriera nella stagione 1989/90, a 34 anni compiuti.
Di lì in poi Agostino si trasferisce a Castellabate, luogo di nascita della compagna, e qui crea una scuola calcio per insegnare ai giovani a giocare a pallone, nella speranza però che qualcuno a Roma si ricordi di quello che aveva fatto con la maglia giallorossa. Ma nessuno si fece sentire.
E così, il 30 maggio 1994, dopo dieci anni esatti da quella finale di Coppa dei Campioni persa, Agostino decide che è arrivato il momento di farla finita. E a soli 39 anni, dopo essere diventato una bandiera storica del club giallorosso, si suicida sparandosi un colpo di pistola in petto.
Al funerale parteciparono tutti i suoi ex compagni, per dare l’ultimo saluto a un giocatore destinato a diventare leggenda del calcio italiano.
Di lì in poi vennero fatti molti tributi in suo onore. La via dove abitava è stata rinominata in suo onore, nel 2011 venne creato un documentario in suo onore intitolato 11 metri e nel 2012 fu inserito immediatamente nella Hall of Fame giallorossa, che tuttora raccoglie i giocatori più forti della nostra storia.
Personalmente mi dispiace molto di non averlo visto giocare dal vivo, soprattutto sapendo poi quello che avrebbe deciso di fare qualche anno più tardi. Mi dispiace perché nonostante le tante gioie della sua carriera ha dovuto ricorrere ad un gesto estremo perché si era stancato di vivere, una cosa a dir poco agghiacciante. Sono contento però che nonostante tutto il giocatore non è stato dimenticato, e oggi che ricorre il suo 65° compleanno vedere tante persone che lo ricordano con affetto è una bella soddisfazione. E spero, nel mio piccolo, di essere riuscito a ricordarlo nella maniera migliore. Ciao Agostino, dovunque tu sia resterai sempre una bandiera giallorossa.


Emanuele Grilli



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