O Musa Pedatoria,
o Sfera dei Capricci:
raccontaci una storia,
del grande calcio dicci…
Il
trionfo e l’insuccesso - diceva Kipling - sono due impostori, e vanno trattati
allo stesso modo. Quel che conta davvero è il “come” si lotta, è il tentare di
rialzarsi dopo le cadute, è la dignità di chi mette tutto sé stesso nel cercare
di raggiungere un obiettivo. A prescindere dal risultato.
Ecco
perché tratterò allo stesso modo (con due elogi) la vittoria contro la Spal e
la sconfitta a Liverpool.
*
Spal
Roma 0-3
(ovvero:
Elogio della vittoria)
Una
vittoria in scioltezza, caratterizzata da due “prime volte”. Per dirla in
endecasillabi:
Per
Patrik Schick la rete della svolta!
Va
in gol in campionato, finalmente!
E
Gonalòns ha per la prima volta
sulla
pagella un voto sufficiente.
*
Liverpool
Roma 5-2
(ovvero:
Elogio della sconfitta)
Vorrei
innanzitutto citare un pensiero di Rosaria Gasparro (tale pensiero è spesso
attribuito - erroneamente - a Pasolini):
«Penso
che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla
sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di
avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza
che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore
sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo
mondo di vincitori volgari e disonesti (ogni riferimento a squadre
pluri-scudettate è puramente casuale ma pertinente, ndr), di prevaricatori
falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa
il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo,
dell’apparire, del diventare… A questa antropologia del vincente preferisco di
gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il
mio sacro poco».
Ecco.
A prescindere da ogni altra considerazione (che comunque faremo!), sia dunque
lode a questa sconfitta per 5-2.
Ma
ora analizziamo come è maturata, questa debacle… C’è qualche attinenza con la
semifinale d’andata col Barcellona:
a)
anche lì perdemmo con 3 gol di scarto;
b)
anche lì ci furono sfortuna e disattenzioni (allora, gli autogol di De Rossi e
Manolas e la papera di Gonalons; ora, la jella della traversa di Kolarov e le
ripetute amnesie difensive);
c)
anche lì la direzione arbitrale lasciò a desiderare (al Camp Nou ci negarono
due rigori; all’Anfield due gol dei “Reds” dovevano essere annullati, uno per
fallo su Strootman, l’altro per fuorigioco).
Ma
le attinenze finiscono qui. Perché a Barcellona la Roma giocò benissimo, e non
avrebbe meritato di perdere; a Liverpool, invece, i giallorossi hanno tenuto
bene il campo solo nei primi 20 minuti e nel quarto d’ora conclusivo. Per il
resto sono stati letteralmente travolti dagli inglesi, che hanno dominato sul
piano del gioco; e proprio il gioco ha legittimato - al di là delle reti
irregolari - il punteggio finale.
Tutti
gli uomini hanno il “diritto” di sbagliare, di essere stanchi, di andare in
confusione. I giallorossi lo hanno fatto, coralmente, dal ventesimo minuto fino
al settantacinquesimo…
Ma
poi sono stati commoventi: il parziale di 5-0 poteva essere la tomba definitiva
di ogni scintilla spirituale; ma i Nostri hanno trovato le energie per reagire,
e hanno recuperato due gol. Due gol che consentono una debole speranza per il
ritorno. In genere i miracoli non si ripetono, è vero. Ma quello che importa è
provarci.
Immaginiamo
che il colpo di testa di Manolas contro il Barça, quello che ci ha portato alla
semifinale, non avesse centrato la porta. Immaginiamo che si fosse stampato sul
palo… L’impresa della Roma non sarebbe stata meno epica, ai miei occhi; e io
sarei stato ugualmente orgoglioso (pur nell’eliminazione) di essere un tifoso
giallorosso. Oggi, dopo il 5-2, sono ancora orgoglioso. Coltiverò la speranza
(pur debole) che al ritorno la Roma faccia il prodigio-bis.
Se
poi saranno i “Reds” ad andare in finale, onore a loro. Forse sono più forti
(almeno nella congiuntura). Ma, su un altro piano (non quello dei due
“impostori” di Kipling, Vittoria e Sconfitta), niente, proprio niente, è più
forte di questo magico bifronte: Roma = Amor.
Per
elogiare la sconfitta, vi propongo otto endecasillabi.
(N.B.:
Nell’ultima quartina si usa l’aggettivo “macra”, che è variante arcaica di
“magra”; cfr. Dante, Paradiso, XXV, vv. 1-3: «Se mai continga che ’l poema
sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra, / sì che m’ha fatto per molti
anni macro…»).
Non
cadere è possibile, se “appoggi”
poteri
oscuri danno ai vari Moggi…
Chi
cade è umano, ma divin diventa
se
di rialzarsi ogniqualvolta tenta.
La
Roma cade male in Inghilterra,
e
rischia la figura brutta e macra,
ma
nel finâl le file sue rinserra,
e
la sconfitta quel lottar fa “sacra”.
Franco Costantini